Genet

Lei

Jean Genet
Lei
Prima versione rivista 17.1.2014
Personaggi
L’Usciere
Il fotografo
Il Cardinale
Il Papa
Il secondo fotografo

Scene
Una porta monumentale, tutta dorata, che occupa tutto il fondo della scena. Una porta chiusa, a due battenti, ma che sembra non conduca a niente, come se una porta, con lo stipite, fosse stata posta nel deserto.
A sinistra i proiettori – o spot – di cui si servono i fotografi. A destra un apparecchio fotografico montato sul treppiede, nascosto dal drappo nero.
Il fotografo è dissimulato là sotto. Un usciere – cinquant’anni circa, catena d’argento al collo – con un macinino da caffè tra le gambe, si alza dal divano rosso, e passa dietro lo schienale, che fa ruotare: è truccato e contiene due tazzine, un fornelletto su cui mette una piccola caffettiera. Fa il caffè.
L’USCIERE, sbadiglia Anche i divani sono truccati. Da una parte il visitatore può essere colto da un mancamento, e dall’altra il cerimoniale non si può compiere di fronte a un macinino da caffè. No, non fotografi niente. Non ne ha il diritto.
IL FOTOGRAFO, che esce da sotto il drappo Proprio questo è quello che un buon fotografo deve far conoscere: quello che non è ufficiale. Ho soprattutto voglia di far vedere quello che si nasconde e si spazza sotto il tappeto.
L’USCIERE Giovanotto, e questo a cosa servirebbe? So che lei mi dirà: la nobiltà di un macinino da caffè, la dignità dell’oggetto più umile. Va bene, provi a magnificarlo allora.
IL FOTOGRAFO Non volevo dire proprio questo. Quello che mi sembrava più importante, è far vedere il trucco della cerimonia, per la presenza – anche se invisibile – di una caffettiera e chissà cos’altro, in fondo alla nicchia, chi sa cosa nello schienale del divano, nei cuscini, nelle boiseries, chissà cosa nel piedistallo cavo o nel naso cavo di una Madonna del XV secolo…
L’USCIERE Ha detto chissà? Proprio così, chi lo sa? Ecco la domanda. Prenda una tazza di caffè, le darà coraggio.
IL FOTOGRAFO Lei non viene mica subito?
L’USCIERE Non si preoccupi. Non si è ancora svegliato nessuno, a parte lei, e lei si veste da sola. Al buio, per pudore. In questo momento, si abbottona le culottes.
Gli offre una tazza.
IL FOTOGRAFO È vero che è mattiniero. Le guardie dormivano, sbadigliavano. Mi hanno aperto le porte, come fossero quelle del sonno.
L’USCIERE tendendo la zuccheriera. Un papa? Due papi?
Prende una zolletta di zucchero con una pinzetta e la passa al fotografo.
IL FOTOGRAFO sbalordito Vuol dire una zolletta? Sì, grazie.
L’USCIERE Voglio dire quello che dico. E dico un papa.
IL FOTOGRAFO Mi scusi, e grazie per il papa. Un altro, per favore.
Beve un sorso e posa la tazza, poi sistema un faro. Se Lei tarda e si fa giorno, bisogna che regoli le luci in modo diverso.
Torna sotto il suo drappo nero.
L’USCIERE Quando sta lì sotto, lei mi innervosisce.
IL FOTOGRAFO, sorridendo Anche la fotografia ha il suo mistero, che forse è anche più selvaggio del vostro.
L’USCIERE Anche noi utilizziamo il nero in certe cerimonie, quando si tratta di morte.
IL FOTOGRAFO, sorridendo Le ho fatto paura?
L’USCIERE No, ma quando lei sparisce dietro quel drappo, mi domando cosa diventa il suo volto. La sua metamorfosi. In effetti lei cosa fa? Niente di difficile, in fondo, lo so: apre e chiude un occhiello, fa scivolare una lastra e è tutto. E tutto comunque è inquietante per via di questo taglio di stamigna. Ho sempre avuto paura della stamigna nera. Quella delle sottane (si segna) e degli ombrelli, delle gonne e dei corpetti delle vedove…
IL FOTOGRAFO Ma quelle sono di georgette.
L’USCIERE Non sempre. E la georgette mi dà meno fastidio. La stamigna delle maniche, delle copertine dei registri, la stamigna…
IL FOTOGRAFO Con tutte queste inquietudini, con tutta questa ampiezza di stoffe, che dipana con la bocca, come si è ritrovato coperto di velluti e d’argento?
L’USCIERE secco La mia storia per lei non ha interesse.
IL FOTOGRAFO Mi scusi, signore.
Un lungo silenzio.
L’USCIERE contempla la propria catena. Eppure, senza questa catena, attributo e organo della mia funzione, membro virile che autorizza la mia dignità, senza di te, pesante catena, cosa sarei?
IL FOTOGRAFO È d’argento?
L’USCIERE Sì, d’argento. E tanti carati… non ne dubiti.
Gesto cortese del fotografo.
IL FOTOGRAFO, sbadiglia Lei viene presto?
L’USCIERE Non si agiti. Lei si farà annunciare da un piccolo squillo. Un po’ come una servetta o un trenino. Un piccolo squillo gracile come le sue gambette e i suoi passettini. Nervoso?
IL FOTOGRAFO Un po’. Ho paura di sbagliare i miei ritratti. Se la prenderebbe?
L’USCIERE Un po’, ma lei è molto buona. Non ce la vedo a arrabbiarsi. Comunque, è preferibile che le sue lastre siano perfette, perché devono portare i suoi tratti e i suoi gesti ai quattro punti cardinali e fino all’Africa nera, ai quattro venti dello spirito, e fino alle isole Tuamotu.
IL FOTOGRAFO Nella savana!
L’USCIERE Nella giungla. È la giungla oceanica che ne consuma di più. Più della pampa. La giungla le divora. Lo farà in diverse pose, vero?
IL FOTOGRAFO Sì, è proprio questo che mi turba.
L’USCIERE Ma… perché? Non è mica venuto a mani vuote, spero, avrà delle lastre di riserva, no, e allora cos’è?
IL FOTOGRAFO Niente, un’idea che mi è venuta.
L’USCIERE Non avrà scordato il cerimoniale, almeno. Comunque è semplicissimo. Un cerimoniale del mattino, ma è importante e lei sarà sensibile.
IL FOTOGRAFO Vuole che glielo ripeta? Lei entra. La porta… ma prima uno squillo gracile: mi ricompongo. Già sono emozionato. Già mi agita un brivido di rispetto…
L’USCIERE Lei è molto semplice, molto alla mano, prima era pastore.
IL FOTOGRAFO distratto Pastora.
L’USCIERE, severo Pastore, signore. Lei era un pastorello, come lei le dirà. Un amoroso ladro agreste di nebbia e selvatiche pupille. Quindi è molto semplice, ma continui…
IL FOTOGRAFO Già mi percorre un brivido di rispetto. Si presenta un augusto monumento. Mi fisso in un atteggiamento allo stesso tempo deferente e…
L’USCIERE E?
IL FOTOGRAFO E naturale, forse?
L’USCIERE Certo, naturale. Deve dimostrare di essere molto a suo agio. Per lavorare, è necessario. Non possiamo fargli tenere troppo la posa. Lei è anziana, reumatica, perché Dio, che la preferisce a noi, senza caricarlo di mali, non gliene risparmia. Ma io vedrò dai suoi tratti che soffre, e allora… (tendendo un’altra tazza) Un papa? Due papi?
Un lungo silenzio.
IL FOTOGRAFO, sobbalza Non ha sentito niente?
L’USCIERE No.
IL FOTOGRAFO Sicuro?
L’USCIERE, esausto Sono quarant’anni che il mio orecchio domina il minimo rumore, il mormorio più lieve, il volo di un piede su questo tappeto. Niente mi sfugge. Il respiro che ha lei un po’ affannoso, l’ultima porta del corridoio, tutto arriva al mio orecchio felpato, vigile a registrare la vita lenta e preziosa di questi appartamenti.
IL FOTOGRAFO Lei ha bisogno di silenzio?
L’USCIERE Signore, come si dice, del silenzio eterno degli spazi infiniti.
IL FOTOGRAFO È necessario per il suo lavoro e la sua meditazione?
L’USCIERE Necessario alla sua lenta maturazione. Il silenzio è un sole pesante che la indora da tutti i lati, per farne un perfetto Lachrima Christi. Sì, se si vuole, questo silenzio è emanazione della sua persona. Il suo cuore – questo cuore misterioso! – il suo cuore segreto è un silenzio che si spande in spesse cortine sul nostro tappeto. Intorno a Lei i colpi si smussano: è il mistero.
IL FOTOGRAFO Lei parla in modo magnifico. Come fa a venirle così bene?
L’USCIERE Subito, quando ci sarà lei, io non potrò più aprire la bocca. Sarà lei a parlare. Ci stregherà.
IL FOTOGRAFO Anche lei, che la vede tutti i giorni?
L’USCIERE, dopo un silenzio. Io non l’ho mai vista.
IL FOTOGRAFO, sbalordito Come? Cosa dice? Ma Lei non viene tutte le mattine in questa sala?
L’USCIERE Chi oserebbe dire che l’ha vista? Esiste davvero? Sì, perché si manifesta. Ma dove esiste? Se i miei occhi la vedessero, non è lei. Se è lei non sono i miei occhi. E allora come la vedrò?
IL FOTOGRAFO Ma allora io, non la vedrò?
L’USCIERE Proprio quello che mi chiedo. (Di colpo) Silenzio! (Il fotografo si fissa, immobile. Ascoltano) Sente?
IL FOTOGRAFO No.
L’USCIERE Eppure. Lei arriva. A passi lenti, esitanti, ma Lei viene. Non si irrigidisca. Resti rilassato. Non sarà terribile. Tanto lei è ancora molto lontana. Ho sentito il belato del suo agnello domestico. Questo significa che la porta della sua stanza è stata aperta per un istante: il tempo che Lei esca.
IL FOTOGRAFO Ha un agnello?
L’USCIERE Per la leggenda. L’agnello è il dettaglio che la umanizza e la rende accessibile, presente e fa visibili la sua dolcezza e bontà. A partire da lui possiamo sognare e impadronirci di lui. Non si ir-ri-gi-di-sca! Respiri liberamente. Se vuole faccia qualche movimento per rilassarsi. Si sciolga. Lei è ancora molto lontana. Sappia che zoppica leggermente: la sciatica e che deve attraversare… (Un urlo) Le fanfare! Le fanfare, ecco le fanfare! Le trombe! La guardia ha urlato il suo passaggio dietro le quattordici finestre. Subito attraverserà il giardino d’inverno e sentirò il suo piede leggero sulla sabbia e sui miei tappeti… Voilà! Come ogni mattina, lei si ferma per lanciare un colpo d’occhio annoiato al sole che si alza, che colora la sua giovinezza e la guancia…
IL FOTOGRAFO La giovinezza?
L’USCIERE Le montagne del piccolo pastore. Sta appoggiata…
IL FOTOGRAFO Sogna?
L’USCIERE Prega.
IL FOTOGRAFO I fari sono a posto? Sì. Bene. (Sistema un faro) Ha un segno particolare, un tic?
L’USCIERE Ah, ah! Ma tutto è un segno, signore, in questa ammirevole persona. E tutto lo sarà anche di più quando lei avrà agito, perché ogni tratto, ogni riflesso rimanderà all’idea più sublime.
IL FOTOGRAFO Allora devo fotografare come viene…
L’USCIERE Al contrario di quello che succede con le persone banali, signore, qui il dettaglio più banale diventa significativo, perché anche il minimo torna all’idea più sublime.
IL FOTOGRAFO Allora il mio lavoro sarà facile.
L’USCIERE Troppo facile. (Si riprende) Cioè… voglio dire… facilissimo. Ma non ha mai fotografato…
IL FOTOGRAFO Hitler! Hitler, a mio rischio e…
L’USCIERE Silenzio! Ha ripreso il cammino, arriva. Sento i suoi passettini sulle lastre. Il suo vestito che fruscia… uno, due! Alabarde…
IL FOTOGRAFO Ma signore, visto che dice che non è lei che vede quando la vedono i suoi occhi, o che non sono i suoi occhi se è lei, è sicuro che i suoi orecchi sentano i passi?
L’USCIERE, trionfante Proprio così! Non ne posso dubitare, perché lei è assente! Posso dire che è Lei, perché non è ancora. Ah, quando lei ci sarà, quando la sentirò parlare, quando muoverà una sedia, trascinerà la zampa, quando le molle del divano scricchioleranno sotto il suo culo…
IL FOTOGRAFO sbalordito La zampa? Il culo? E poi? La trippa? La ghirba? Le guanciotte? Il buco del culo sfondato? La nappa?
L’USCIERE La zampa e il culo per l’istante, sì signore. Cerco di dargli la vita. Dico, quando lei sarà là, lei arriva, arriva, si avvicina, hanno aperto i cancelli d’oro della grande anticamera, in cui le guardie…
IL FOTOGRAFO D’oro?
L’USCIERE Un modo di dire nobile. Evocazione… dove le guardie sono ancora addormentate, perché la vecchia si sveglia al canto del gallo – citazione di Pietro nell’orto degli ulivi – quando ci sarà e sposterà una sedia, sbatterà lo strascico o la tibia contro un comodino, spaccherà inavvertitamente – quella spacca tutto – un vaso o un calamaio, non sarò più sicuro che lei ci sia, o che esista, a parte il fatto che qualcosa, forse, potrà restituirgli per un secondo, la sua assoluta realtà: lo choc ridicolo di una dentiera, nella bocca sdentata.
IL FOTOGRAFO Ma io sogno! È a questo e non alla sua naturale maestà che lei sarà…
All’improvviso l’usciere piomba in una specie di reverenza estrema, direzione del cortile.
IL FOTOGRAFO, sbalordito Che le prende?
L’USCIERE Sua Eminenza… saluti.
Un momento molto lungo, poi entra un cardinale, avviluppato nella “cappa magna”. Zucchetto rosso in testa.
IL CARDINALE, tende l’anello da baciare, ma ritira la mano. Non so se devo, perché… lei non c’è? Non ancora?
L’USCIERE Non ancora, monsignore. Ma lei non tarderà. Vostra eminenza è mattutina.
IL CARDINALE Sì, mi sono alzato presto, per andare a pescare. (Sposta la sua cappa magna). Vede, sono poco vestito sotto. Per questo non osavo darle il mio anello da baciare.
L’USCIERE Se l’avessi saputo. Andate a pesca?
IL CARDINALE Cacciare è uno sport crudele, pescare è un gioco amabile. A la caccia, si va con gli stivali, le ghette, armati tra rovi e denti, bisogna bardarsi d’orgoglio virile, di ferocia. Alla pesca ci si avvicina in silenzio, con dolcezza, quasi con tenerezza. La rugiada del pescatore non è quella del cacciatore. Una è più umana dell’altra. So bene che il risultato è la morte in un caso come nell’altro, eppure… Risistema le falde della cappa per nascondere le mutande di velluto. Ditemi, si vede che non ho la sottana?
L’USCIERE, andando indietro No. Se cammina piano. Ma pianissimo. Cammini! No, non si vede niente di quello che c’è sotto.
IL CARDINALE Devo attraversare il grande vestibolo e ho paura di incontrare i soldati. E non vorrei turbarli. Mi sono buttato in gran velocità la cappa magna sulle spalle. Figuratevi, che sono freddoloso.
L’USCIERE Comunque, stia tranquillo, non si sospetta nemmeno.
IL CARDINALE Bene. Me ne vado prima che Lei arrivi. La mia tenuta equivoca comporterebbe un certo numero di problemi. Lei si stupirebbe di questa sirena congestionata.
Si allontana.
L’USCIERE Anche Cristo era pescatore. Il Cardinale si gira prima di uscire dalla parte del giardino. Grazie per questa cortesia.
IL FOTOGRAFO I cardinali vanno a pesca la mattina? Si potrà fare la frittura…
L’USCIERE Tutto mi fa credere che la seduta, tra qualche minuto, si svolgerà nel modo giusto. Lei ha baciato l’anello di monsignore con molta dignità.
IL FOTOGRAFO, rosso di piacere, Davvero, non sono andato così male?
L’USCIERE, con convinzione Perfetto.
Silenzio.
IL FOTOGRAFO Peccato che sua eminenza, si sia trovato un po’ svestito. Il vero che scoprirlo in una specie di intimità – se oso dirlo – la rendeva ancora più nobile… (pausa) Però, per la pienezza del mio gesto, quindi del mio piacere, avrei preferito sua eminenza nella sua totalità. (pausa)
L’USCIERE Ha detto proprio del suo piacere?
IL FOTOGRAFO Sì, lo so, è un uomo come gli altri, eppure… (con forza) sì, piacere. All’improvviso mi sento sollevato di aver potuto compiere un gesto che mi restituiva a un modo di cerimonia, quindi definitivo. Perché l’ho fato cerimoniosamente. Un istante, e mi sono distaccato dal tempo. Come una piccola morte. E questo mi ha fatto riposato. Quando Lei, lei sarà qui… perché sta per arrivare…
L’USCIERE tende l’orecchio Vedrà, vedrà, non sia né impaziente, né irritato. Viene. Eccola qui. Lei è stanchissima. Lei avrà passato ancora una notte tremenda.
FOTOGRAFO Visitata?
L’USCIERE Da qualche angelo capriccioso, da una fatina?
IL FOTOGRAFO Ma che curiosa immagine mi propone di Lei? Intanto che parla, la realtà di lei si attenua. Io, per me la vedevo, bianca e pallida, magra e in una specie di gloria…
L’USCIERE Eccola, signore.
IL FOTOGRAFO Ma in una specie di gloria terribile, allo stesso tempo severa e dolce, e in ogni caso luminosa, capace di abbattermi e risollevarmi con una tenerezza paterna, tenera e crudele…
L’USCIERE Lei è questo, signore, non ne dubiti.
IL FOTOGRAFO Ma lei ne parla senza deferenza, e ne fa un grottesco pupazzo. Lei non può essere composta di quei due contrari. Se no è solo…
L’USCIERE urlando Silenzio!
In lontananza un gran rumore di trombe.
In ginocchio!
La porta a due battanti si apre come da sola e scopre una specie di cielo molto blu e molto pallido.
Eccola! È lei!
Una voce, che si sovrappone Sua Santità!
Intanto appare: il Papa che viene lentamente, da molto lontano. Vestito di un lungo abito bianco che gli nasconde i piedi, sembra scivolare sul suolo. Porta la tiara, la croce pettorale. Sulle sue mani giunte, guantate di bianco, un grosso anello. Con calma, si ferma in mezzo alla stanza e benedice il pubblico. Dopo averlo guardato un istante, il fotografo si inginocchia. Fa per baciare i piedi del papa, ma tirando indietro l’abito bianco, si accorge – e il pubblico insieme a lui – che sua Santità sta in piedi sopra i pattini a rotelle. Pudico, il Papa abbassa l’abito.
L’USCIERE, in ginocchio Sua santità ha passato una buona notte?
IL PAPA, raschiando la gola Influenza!
L’USCIERE, sempre in ginocchio Lo stesso per me. Sono i rutti che non arrivano a esprimersi. Li sento nel vuoto dello stomaco, invece di uscirmi dalla bocca, esplodono in molli zampilli nella mia cassa toracica.
IL PAPA al fotografo Si alzi, figlio mio. Lei ha i ginocchi puntuti e tra poco è tardi.
L’USCIERE al fotografo Lei farà più presto che sia possibile, per non affaticare Sua Santità. Una posa molto breve.
IL PAPA La posa! Allora bisogna riprendere la posa? Come sempre. Tanto io sono solo una posa, perché sono il Papa. (un sospiro) Infine, in che posa, figlio mio?
IL FOTOGRAFO balbettando Sire… Madame… Héloïse… Scusi…
L’USCIERE Piano, piano. Dica Santo Padre.
IL FOTOGRAFO Santo Padre… era convenuto con il Nunzio che faremo cinque serie da tre milioni.
IL PAPA sempre immobile, nello stesso posto. Tre milioni moltiplicati cinque, questo produce la mia immagine tirata in quindici milioni. Non ce n’è da fecondare il mondo, ma è un buon inizio. Ma che pose, per cominciare?
IL FOTOGRAFO, avvicinandosi Se osassi consigliare a Vostra Santità…
IL PAPA Consigliare non è abbastanza forte, stamattina deve esigere. Per il momento, io non sono più il Papa, o non lo sono ancora, perché lei non mi ha ancora dato l’atteggiamento o il gesto che mi fisseranno come Papa. Dunque, io non sono niente. Strana condizione che è quella della concezione. Io non sono ancora niente. Perché in effetti, fino alla sua decisione, ero un curioso papa, Papa nel quotidiano, nel familiare, infine lo sarò nell’essenza del papa.
IL FOTOGRAFO Vostra Santità…
IL PAPA Niente Santità. Sono un manichino, tutto storto, poveraccio, o se no la speranza di esserlo, a cui lei darà la forma di Papa. Mi sistemi. Mi abbassi le braccia, alzi il piede, disarticoli il collo, tenda la guancia sinistra, tenda la guancia destra, mi inclini il busto, mi tiri la lingua, ma faccia di me un Papa per quindici milioni di uomini.
IL FOTOGRAFO Mai oserei toccare il suo… mai, mai toccarla.
IL PAPA Ma, bordello di Dio, mi tocchi, le dico. Io devo essere preso: mi prenda! Preso in preghiera? Preso che benedico? Preso che do la comunione? Preso che medito? Su. Al lavoro… io non sono il Papa.
IL FOTOGRAFO Però io la riconosco.
Il PAPA sbalordito Da dove, dalle mie vecchie foto?
IL FOTOGRAFO Sì e da una apparizione sul balcone di San Pietro.
IL PAPA Dalla loggia, amico mio, da cui noi benediciamo un popolo sconvolto dalla nostra apparizione. Sì, ma allora, se lei mi riconosce… ma ne è proprio sicuro?
IL FOTOGRAFO Senz’altro Santo Padre.
IL PAPA Allora è una cosa seria. Questo vuol dire che il Papa che ero sulla loggia è lo stesso di quello che le parla? Allora, non faccio pose e basta,
IL FOTOGRAFO Come?
IL PAPA Voglio dire che non importa quale posa andrà bene e farà di me il Papa. Mi riprenda come vuole. Ora ho voglia di cagare. (all’Usciere) Battista portami il vaso da notte che cago. E questo giovanotto proporrà a quindici milioni di fedeli l’immagine di un vecchio accovacciato che sarà il Sacro Pontefice…
L’USCIERE Mi chiedo se possiamo dare al mondo…
IL PAPA E allora? Il mio vaso, quello blu, c’è, nascosto nel piedistallo di Santa Filomena, vero? Allora, datemelo.
L’USCIERE Quindici milioni di anime.
IL PAPA Figlio mio, è sul vaso, quando mi riposavo tranquillo, che sono stato visitato dai pensieri più fecondi, più alti, quelli che lasciano una traccia di fuoco, di selvatico e di ghiaccio nella cristianità. Figlio mio, ascoltami; quando, dolcemente, con pesantezza, ma tenerezza i miei tessuti si lasciano andare, le viscere si rilasciavano, in me discendeva una angelica dolcezza. All’improvviso ero buono. E pio. La carità mi avvolgeva in una posa da vecchio turco. Non si può cagare in ginocchio. Ho capito che l’atteggiamento della preghiera – la sola posizione che non sia una imposizione – è quella accovacciata. In questo momento, quando mi vuoto della materia fumante, sono più vicino a Dio e ne approfitto. Allora un angelo – visibile, mio caro, visibile - mi posa il dito guantato di neve sulla tempia. Allora vorrei spargere sul mondo una infinita bontà. Il cuore mi si apre alla miseria dei lebbrosi, dei coloniali, degli eretici, delle dame dell’alta società. Che bolle mi sono state ispirate dalla divinità! All’improvviso tutto mi diviene accessibile: la bellezza dei rubini e quella del broccato di seta. Lo metto con discrezione al livello di quella strana materia che in ventiquattro ore le mie viscere hanno elaborato e che se ne va, quando la bontà mi visita. Ma lei ha senz’altro ragione. Non potremmo offrire al mondo l’immagine di un papa sul vaso da notte. Il mondo non ci crederebbe. Non avrebbe di fronte l’immagine del papa. Eppure! Ma allora il Papa deve essere in una serie di pose? Allora, mio giovane amico, dia a questo manichino l’attitudine pontificale. Su, svelto.
IL FOTOGRAFO Non so più dove sono.
IL PAPA, ridendo Non si perda per così poco. Se no io dove sono? E come mi ritrovo?
L’USCIERE al Papa È ancora molto giovane.
IL PAPA al fotografo Ha figli?
IL FOTOGRAFO Due. Un maschio e una femmina.
IL PAPA Lei è sposato?
IL FOTOGRAFO imbarazzato No, ma io e mia moglie ci amiamo. Il nostro amore ci è sembrato sufficiente a santificare i nostri legami. Visto che abbiamo voluto riportare tutto a lui e tutto fare dipendere da lui, lo consideriamo il sacramento assoluto.
IL PAPA Tutto dipende veramente dal vostro amore? Anche la vostra reciproca lealtà?
IL FOTOGRAFO Quella soprattutto.
IL PAPA Due bambini, due angeli senz’altro? Biondi, come lei.
IL FOTOGRAFO Li vuole vedere? Fa il gesto di cercare nella tasca e ne tira fuori una foto che tende al Papa. Eccoli tutti e due. Pierre. E Jacqueline.
IL PAPA Ma guarda, a colori. E che bella acconciatura, Jacqueline ha i capelli alla garçonne.
IL FOTOGRAFO Oggi si dice alla Giovanna d’Arco, Santo Padre. È la sua santa preferita ed è a lei che vuole somigliare.
IL PAPA interessato Cioè? Vuole essere canonizzata o morire vergine? O tutto questo e il resto? Essere Giovanna d’Arco o somigliarle? Immagini, sempre immagini! Immagini, sempre immagini! Sono stufo. Fa a pezzi la foto e getta via i pezzi.
IL FOTOGRAFO, dispiaciuto. Lei ha la mano pesante.
IL PAPA Cosa ho fatto? Ho fatto a pezzi un cartoncino? Ma i suoi esseri adorati, non li ho toccati. Lei li idolatra, parola mia.
IL FOTOGRAFO Sì. In ginocchio. Si fa giorno.
IL PAPA Mi inginocchio e poi?
IL FOTOGRAFO Per favore prenda l’aria ispirata.
IL PAPA Eccoci. Sapevo che ci arrivava. E com’è questa aria ispirata? E in primo luogo, se si è ispirati, se ne ha l’aria? E che aria è? Un’apparenza di beatitudine, la felicità di sentire Dio, o la sofferenza di ricevere un messaggio di una tale importanza che i tratti del volto, come braccia, si tendono per portarla? Oppure è l’aria intenta di uno studente che decifra un rebus e dovrei tirare fuori la lingua? Amico mio, né il suo mestiere né il mio sono di tutto riposo. Comunque voglio unire le mani, guardare il cielo, offrire il mio volto (agisce).
IL FOTOGRAFO Rettifica la posizione delle mani. Non male. Ma non abbastanza fervore nello sguardo. Un po’ più intenso, per favore?
IL PAPA si sforza di ubbidire. Così?
IL FOTOGRAFO Già molto più giusto.
IL PAPA Giusto?
IL FOTOGRAFO Più vicino…
IL PAPA Vicino a cosa. (silenzio) Vicino a cosa, amico mio? Parli in fretta. Non si scordi che devo tenere la posa. Più fervore nello sguardo, il volto più intenso… più vicino a cosa? Parli, svelto, in nome di Dio!
IL FOTOGRAFO Più vicino a Dio.
IL PAPA Bah! Mi ha fatto paura. Credevo più vicino al Papa! Perché allora, arrivato a questa espressione sublime e diventato – per quindici milioni di anime avide – colui verso cui tendo, non avrei avuto più scelta se non il crimine inespiabile del suidicio. Quindi ero vicino a Dio…
IL FOTOGRAFO Sembrava, Santo Padre.
IL PAPA Da cosa l’ha capito?
IL FOTOGRAFO Per un secondo, il suo volto è stato rivestito di una tale solitudine, una così dolce luce lo rischiarava…
IL PAPA Imbecille!
IL FOTOGRAFO Signore!
IL PAPA Imbecille! Una tale solitudine! Una luce così dolce! E lei non scatta e quindici milioni di selvaggi passano a due dita dalla grazia! Continui, ragazzino.
IL FOTOGRAFO Mi perdoni, Santo Padre. Il fulmine! Ero io stesso sotto l’effetto della grazia. Avevo la rivelazione dell’Unico! Può riprendere la posa e il fervore?
IL PAPA Come? A comando? Ce l’ho avuto, questo volto ammirevole quando ero furioso contro l’orrendo mestiere che mi fa fare. Grazie alla sua incapacità quindici milioni di anime sono state a due dita dall’impostura. Perché hai voglia di essere scelto da Dio, eletto dagli uomini, venerato dalle vecchie e dai negri, siamo fatti di carne, di cibo, di umori e di sofferenza, più che di fervore.
L’USCIERE Santo Padre lei è la Dolcezza, la Carità e la Misericordia!
IL PAPA Zitto, agonia. Chiedi al nostro amico fotografo se un attore di talento, che dico, di terzo piano, un attore di Perigueux, non riuscirebbe più in fretta e più spontaneamente a produrre un volto più pallido, più emozionante, più eloquente del mio? Parlo di un attore ateo, ovvio: se ce ne sono. Eppure degli attori, ho appena il coraggio di parlare tanto è il disgusto che mi ispirano, sa perché? Perché, come me, anche loro si riferiscono a una immagine definitiva.
IL FOTOGRAFO un grido. Santo Padre!
IL PAPA molto dolce. Lasci stare, amico mio. Il suo grido prova una amicizia nascente tra noi, ma vi voglio recitare I singhiozzi del Papa. Seduti. Il fotografo si siede.
L’USCIERE solenne Ascolti. Sua Santità ci reciterà i Singhiozzi del Papa. Poema sacro in cinque canti. Canto I.
Il Papa, dopo un istante di silenzio.
IL PAPA Avevo sedici anni ed ero pastore. Passeremo presto in rassegna una infanzia fatta tutta di effusioni, di comunione con la natura, e i lupi, con i racconti evangelici che piazzavo nel mezzo delle radure e dei miei drappi. Alla fine ho dato disciplina a questo fervore disperso. Ho conosciuto lo studio, il suo rigore, il suo scopo. Lentamente – perché da pastorello zoppino e avvolto in un maglione a vegliardo concupito dagli arcangeli, c’è una strada di stelle, lentamente ho salito i gradini – speriamo della perfezione – e quelli della gerarchia. Meteorico e lento, sparavo nel mucchio, sempre diretto verso una immagine con cui cercavo di identificarmi: diacono, curato, vicario, vescovo, cardinale (sorride) e altri, pagani e fascinosi… Sono stato eletto dal Sacro Collegio ed eccomi qui.
Dicevo: diretto verso un’immagine: calamitato da lei. Ahimé, in parallelo ho perso tutta la mia densità interiore e ho visto danzare una immagine fuori di me. Amici, per tutta la vita ho solo corso dietro questa immagine nuova che per tanto tempo si proponeva e si rifiutava al mio desiderio. Se volete, per riuscire infine a farcela scivolare dentro, lei, e i suoi accessori, la sua scorta di fatti e gesti, che sono il suo strascico ammirevole. Ma papa! Eccomi papa! Avevo raggiunto l’immagine definitiva! Quella verso cui tendere, non ce ne sono altre? Beh, amici miei, vi ascolto. Mi resterebbe quindi da distruggere questa immagine, degradarmi giù per i gradini così difficoltosamente guadagnati, malgrado la mia sciatica e raggiungere la brina e i lupi? Voi mi seguite, voi tutti che mi ascoltate? Distruggere l’immagine con il rifiuto di continuare, in me prima di tutto, a riprodurla poi fuori di me. Mica facile. Non dire quattro, se non ce l’hai.... Alla fine lei è stata comunicata al mondo. Chi? Il Conclave? Le esigenze dell’immagine. A milioni. Mi avrebbero impedito di annientarle? Sono stato astuto. Una volta su una lastra ho sostituito il mio piede con quello di un altro, poi la gamba. Poi è stata la mano di un altro. Qui era una cosa più seria, perché è un altro che faceva con me il gesto di benedire. Certo, era la mano di un prelato belga, ma questo non risolveva le cose. Alla fine ho prestato solo il volto, poi, stanco, e pensando che per questo bastasse un orecchio, e i peli di un orecchio per autenticare la mia immagine. Infine, poco a poco, ho smesso di farmi rappresentare. Sono scomparso e basta. Sono mancato a tutte le rappresentazioni, mentre le immagini del papa si moltiplicavano all’infinito nei castelli, nelle capanne, i conventi, le chiese, le fattorie, gli ospizi, le prigioni, nella savana, nelle caserme. Ma io, in questo tempo, io, quello che vedete stamattina e che piange i suoi miserabili singhiozzi, che è diventato? Che è diventato? Non c’erano più immagini. E gli specchi del Vaticano? Dove sono? Ma intanto che la mia povera persona diventava un supporto di gesti destinati a definire una immagine che si rendeva sempre meno realistica, come una minuscola lumachina, mi ripiegavo sempre di più u me stesso, mi rattrappivo, mi assottigliavo, guardavo proliferare attorno a me questa inverosimile persona che andava da Roma a Hoggar, da Roma alla Pampa, alla tundra e io, la fragile lumachina, mi sedevo su un gradino dello scalone pontificale e piangevo in silenzio. Fine del Canto I.
L’USCIERE, asciugandosi le lacrime con un fazzoletto. Che cosa atroce, sovrano pontefice!
IL FOTOGRAFO Capisco che lei è triste, ma almeno ha l’orgoglio di essere stato scelto tra tanti – e così nobili e degni – per servire da sostegno a questa immagine gloriosa. Quindi in lei c’era quello che serviva per creare questa immagine. E cos’era questo?
IL PAPA Glielo posso dire, ci vorrà il tempo di un secondo canto.
IL FOTOGRAFO Potrei fotografarlo?
IL PAPA Lei è pazzo, farebbe fotografie a un bardo o a un cagnaccio.
IL FOTOGRAFO Eppure lei non è come gli altri, perché è venerato e allora che succede?
IL PAPA Glielo dirò. Ma mi dica, amico mio, la sua donna è bella? Perché ho sentito dire che ci si lega alle donne per la loro bellezza e che questo, nella vostra lingua, si chiama amore. È bella, allora?
L’USCIERE (all’improvviso) Altolà! Questo non la riguarda.
IL PAPA Ma Victor, lasciami…
L’USCIERE Niente domande. Non le permetterò di interrogarlo, a meno che non voglia su un tono malizioso.
IL PAPA Sei molto severo con un veterano.
L’USCIERE Zitto. È la prima volta che mi permetto di intervenire. Lei sa che ne ho il diritto. E allora non insista. E dica, se vuole, perché la veneriamo. Questo glielo accordo.
IL PAPA al fotografo Glielo dico senz’altro: non è la mia persona a aver meritato tanti omaggi, ma sono quelli che all’improvviso hanno consacrato la mia persona.
IL FOTOGRAFO Vuol dire, Santo Padre, che non è lei che veneriamo, quando ci inginocchiamo per baciare il suo scarpino?
IL PAPA Quando un uomo si inginocchia, sa – e se non lo sa, me ne frego – che dà più importanza al suo gesto, che al mio piede, e soprattutto che all’uomo a cui appartiene quel piede. Ecco quello che vuole: sentirsi preso in una gelatina cerimoniale.
IL FOTOGRAFO Allora quando sono caduto in ginocchio…
IL PAPA La pompa allora può schiacciarlo. Verrà preso da una vertigine di fronte a questa insuperabile distanza tra lui e il papa. Distanza o vuoto ottenuto con l’accumulazione di gesti inutilizzabili. Questi gesti, vicino a me, sono così numerosi, che non servo più a niente. Sono inutilizzabile. Buono a niente. Un ballerino. Io ballo il papa. Mi hanno truccato. E sempre di più. Guardi, venga dietro di me. Guardi.
Il fotografo gira intorno al Papa e lancia un grido.
IL FOTOGRAFO Ma… pover’uomo.
IL PAPA rattristato Sì, signore, è proprio così. Dietro, faccio vedere il culo. Tanto è inutile usare la stoffa per nasconderlo, perché tanto non mi si vede mai da dietro. E allora anche se per caso si vedesse questo retro, questo culo nudo, non sarebbe quello del papa, perché il culo il papa non ce l’ha.
IL FOTOGRAFO Ma il freddo, i geloni… comunque lei si deve coprire.
IL PAPA Nelle nostre regioni, il clima è dolce. Però mi ammalo spesso. E poi se ne sbattono di un povero vecchio. E io per primo me ne sbatto di me. Ho il culo in aria – non avendo il retro – ma la mia mano, pontificale, porta al mio orecchio, pontificale, un telefono in oro massiccio. Una tonnellata.
IL FOTOGRAFO Una tonnellata d’oro! E l’hanno messa sui pattini a rotelle! Alla sua età!
IL PAPA Il Sovrano Pontefice deve essere portato dagli angeli. Non sa camminare. Così vuole l’Immagine. Bisogna un po’ truccare l’uomo. E me la cavo piuttosto bene. Ma non le ho recitato il canto II. I Singhiozzi del Papa? Non le interessa? Il canto II è molto breve…
IL FOTOGRAFO La ascolto.
L’USCIERE, solenne Il sovrano Pontefice ci reciterà il canto II dei Singhiozzi del Papa (al Papa) In marcia!
IL PAPA (N.d.T: il secondo canto non è nel testo di Genet, c’è una lacuna)
IL FOTOGRAFO piange Ma allora il suo potere sul Sacro Collegio è reale. Lei ha una azione personale sul mondo.
IL PAPA Questa, signore, è un’altra faccia del problema. Certo, che ho una possibilità di azione, una potenza personale, ma allora, proprio avendola, io smetto di essere simile alla mia immagine: mi gratto, mi contorco. Rido di un piccolo riso flautato, come questo (il Papa ride come una zia). Mi curo i denti, mi rimangio il cibo incastrato in un dente marcio, rutto, scorreggio e anche quando cago, smetto di essere il Papa.
IL FOTOGRAFO felice Ma allora lei esiste!
IL PAPA Calma, mio giovane amico. In primo luogo questa potenza, questa realtà mi vengono dalla mia immagine. Senza, non avrei il mio potere. Capisce quello che voglio dire? Bene. Io vivo questa atroce contraddizione. Ollalà! Ecco il difficile. (Piange) Ma lei deve sentire il Canto III dei Singhiozzi del Papa: anche noto come il Canto delle zollette di zucchero!
L’USCIERE solenne Sua Santità ci reciterà il canto III dei Singhiozzi del Papa, intitolato Canto delle zollette di zucchero!
IL PAPA (salmodiato) In effetti, mi dico, basta che il nostro intervento – e il più anodino – santifichi una qualunque immagine, e non importa quale sarà la nostra immagine. È necessario che riprenda la mia dimostrazione?
L’USCIERE Che Dio ve ne scampi!
IL PAPA Che sia. Stabilisco quindi che non importa quale oggetto possa rappresentarmi. Se qualunque volto, spalla, tempia, possono essere quelli del papa, allora qualunque sarà anche tutto intero. Ho cercato quale oggetto potrebbe dare di noi e della nostra augusta assenza una idea giusta. Ho passato in rassegna un dado portaaghi, una giraffa di pelouche, una spazzola per abiti – la nostra umiltà non le disprezzava – fino a questa cicca sputata: sì, abbiamo avuto l’idea che quando un mozzicone viene lanciato per aria, diventa il papa e ha diritto ai riguardi pontificali. Siamo andati più lontani, fino a questa idea di noi stessi, è il niente che ci rappresenta meglio. Niente? Difficile da cogliere! Meno male che, nella nostra ricerca angosciata, ci è venuta allo spirito l’idea di un oggetto d’uso comune, perché le cicche, mi dicevo, raramente entrano di frodo presso gli uomini onesti; mi è allora venuta in mente l’idea di una zolletta di zucchero! Entusiasta, ho emesso una bolla celebre e segreta che stab liva, regolava, codificava i poteri rappresentativi delle zollette di zucchero. Così, in tutti i luoghi del mondo, e a ogni secondo, milioni di fedeli consumano la mia immagine in modo inverosimile. Invece di ricevere chili di foto di un vecchiardo, i conventi, i presbiteri, i bistrot, le caserme, i riformatori, i parlamenti, le stazioni, gli aerodromi, ricevono tonnellate di zucchero bianco, immagine ideale del Noto Candore. Ci mettono in una tazza di caffè caldo, di latte, di camomilla, puf e siamo fusi. Un ragazzetto, una vecchia ci masticano. Niente più papa. Fine del Canto III dei Singhiozzi del Papa.
IL FOTOGRAFO Santo Padre, sia chiaro: chi sono quelli che sanno questo segreto e che vi venerano?
IL PAPA Non lo sa nessuno. Oltre a noi. Ma almeno ha capito il mio dolore?
IL FOTOGRAFO Meglio di tutti gli altri, più di una volta, mi sono venute le lacrime agli occhi, mi creda, ma comunque tutto è salvo, lei, loro, io, tutto il mondo, se lei è in rapporto con Dio.
IL PAPA Davvero? O lo splendore di cui circondano il Sovrano Pontefice è una presa in giro, o se no niente pompa troppo elaborata. L’universo intero… perle, rubini, sete, acciai, cannoni, guardie, musiche, ma quali musiche? Passi di valzer? Sì, anche valzer, sfilate di giovani paggi, di danze, spettacoli, corteggi e l’universo si ordina intorno alla mia tiara, perno del mondo visibile, insieme al canto di Osanna, o un’altra parola sconosciuta, ebraica o dei Caraibi. E la terra gira intorno alla mia tiara… e, oh, oh, amico mio, si spicci, mi faccia domande. Mi dica, la sua donna è bella? E lei la ama?
IL FOTOGRAFO Il nostro amore è la più bella cosa del mondo. Ma mi dica: la terra gira intorno alla tiara… e poi?
IL PAPA, molto veloce, come se fosse molto alterato E tanti splendori equivalgono a nessun splendore. E il più grande deve essere la negazione di tutti. O io credo di essere stato portato su questo trono per contestare il suo oro e i suoi broccati. E la sua donna la ama? Risponda presto! Presto, tra poco sparisco…
IL FOTOGRAFO Ma io le chiesto se è in rapporto con Dio.
IL PAPA sempre più sconvolto In nome di Dio parli in fretta, bisogna che me ne vada. Io sono già – lo vede, mi agito, indietreggio – sento che mi fanno fremere, che mi agitano, che tirano la corda, che lega i pattini a rotelle al mio oratorio, seggio illustre della mia decisione. La lascio. Partirò, parto all’indietro, montato sulle mie rotelle paradossali. Signore, signore, signor fotografo, lei è che è un uomo, mi dica il suo mestiere di cacciatore di immagini basta a far vivere la sua piccola famiglia? Già il Papa indietreggia, tirato da un cordone invisibile al pubblico.
IL FOTOGRAFO I tempi sono duri, signore. Ma non parta. Faccia uno sforzo, la fotografo.
IL PAPA, angosciato Lasci perdere. Il mondo è pieno di zollette di zucchero. Ma mi dica, signore, mi dica: avevo sedici anni ed ero pastore… i lupi bevevano dalla mia mano, le tasche rigurgitavano di ciliegie e cavallette… Il papa rincula e fa il gesto di benedire il pubblico. Sparisce. Squilli di trombe da lontano. Le porte si chiudono da sole.
IL FOTOGRAFO dopo un momento di stupore È stata dura, ma ce l’ho fatta. Il fotografo, prima che il Papa fosse scomparso, è passato sotto il drappo nero, ne esce.
L’USCIERE Lasci perdere, mio povero amico. Lei perde il suo tempo. Invece di una foto, avrà una zolletta di zucchero.
IL FOTOGRAFO Ma è idiota. Allora non ho visto il papa! Mi dica, era il papa o no?
L’USCIERE ascoltando Ascolti. Lo sente?
IL FOTOGRAFO Passi sulle piastrelle, signore.
L’USCIERE Lei attraversa il grande vestibolo. Lei…
IL FOTOGRAFO Lei? Lei, chi?
L’USCIERE, lentamente Sua Santità. Lei avanza, portata dolcemente dai viluppi della polvere, scivola sul feltro o sull’olio. Cola dietro a vasti portali: il portale delle Sante Grazie, il portale degli Umili, il portale dell’Alto Rinculo, il portale del Regno Celeste. Lei entra. Due alabarde battono sulle lastre. Lei scende la scala di mattoni. Risale tre gradini per entrare nella sala delle Guardie Nobili…
IL FOTOGRAFO Quindi è del Papa che parla, visto che si riferisce a lui come Sua Santità. Confessi.
L’USCIERE Io so che si tratta del Papa, perché è assente. Ma, signore, ha scordato il canto IV dei Singhiozzi del Papa, e il canto V. Li vuole sentire?
IL FOTOGRAFO Sì, se non la disturba, e se li sa.
L’USCIERE Canto IV dei Singhiozzi del Papa: perché c’è di peggio rispetto a tutto quello che abbiamo già detto. Per il mondo intero, per gli scolari, per i Bororo, per i greci, gli americani, per i pescatori di perle – dicono che non vale per i russi, che Dio li aiuti! – per il mondo intero il papa esiste: immagine sublime e pallida della Misericordia. Torre pendente dell’Indulgenza e del Perdono, Verga flessibile e dolce vestita di mohair, Aurora Boreale sotto il cielo d’Italia, Maestà di Tutte le Maestà, Attore travestito, Cinese esausto, provetto nel duro e nel morbido, per il mondo intero il Papa esiste, non per me. Ciascuno ha il papa. Il papa è per ciascuno. O io che lo sono, sono privato del Papa. E proprio per avvicinarlo… avvicinarmi… Signore, non mi chieda troppi dettagli, e accetti questa come la fine del Canto IV dei Singhiozzi pastorali.
IL FOTOGRAFO Ah, ma comprendo e ne soffro, che nessuno può dargli la benedizione apostolica. Sì, ma io, che sono il fotografo Etienne Lewen (sì, sono ebreo), sono come lui, non mi avvicino mai e quando…
L’USCIERE, interrompendolo Eccolo il canto V dei Singhiozzi del Papa: infine, esaurito da tanti sforzi…
IL FOTOGRAFO, interrompendolo a sua volta Lo so, lo so… tanti sforzi…
L’USCIERE inserendosi per sbarazzarmi di questa immagine…
IL FOTOGRAFO E L’USCIERE, insieme … che ora non potrebbe essere più scacciato da un’altra e poi, all’estremo confine della morte, sul punto di trapassare, avviluppato… (il Fotografo solo) avviluppato da lei e rischiando di comparire ai secoli futuri sotto questa apparenza irrimediabilmente innevata e coperta di gioielli, sono rientrato in me stesso e sono partito alla ricerca dell’amoroso ladro di nebbia e pupille gelate. Ahimé, quando li ho raggiunti, era morta di tristezza, di fame e di freddo. Gli ho portato coperte, una borsa dell’acqua calda, latte caldo, l’aspirina: niente, L’ho frizionato: niente. Niente. Niente. Era congelato. Ho recitato L’Ufficio dei Morti. Fine del Canto V dei Singhiozzi di un pastore. Lungo silenzio. L’usciere tende una tazza di caffè. Beva. La rimette in sesto. Un papa? Due papi?
IL FOTOGRAFO considerando la sua zolletta Lei è sicuro che il Sovrano Pontefice… ma io, io sono un fotografo. Sono cacciatore di immagini, come si dice e, quando…
L’USCIERE interrompendolo Quando sotto la sua stamigna… ma che ci fate là sotto? Guarda in quinta, entra un fotografo simile al primo.
IL SECONDO FOTOGRAFO Allora, ci sono, come d’accordo.
L’USCIERE Chi le ha detto di entrare?
IL PRIMO FOTOGRAFO, timido e imbarazzato, Non lo insultate, per favore, sono io…
L’USCIERE Lo vedo che le somiglia, ma non può essere lei, perché lui è là e lei è qui.
Il Primo Fotografo, sempre timidamente Lui è il mio fotografo ufficiale, signore, è lui che è incaricato di fissare la scenda indimenticabile, di conservarne l’immagine…
L’USCIERE turbato Ma che scena? E come e perché è entrato?
IL PRIMO FOTOGRAFO La scena dove stavo per fotografare il Papa, signore.
Un lungo silenzio imbarazzato. Entra il Cardinale, che attraverserà nel senso inverso rispetto alla prima volta. Questa volta ha una sottana rossa sotto la cappa.
IL CARDINALE Allora, è finita la posa? Come, due fotografi?
I tre uomini stanno di fronte, silenziosi.
IL CARDINALE E allora, signori, non salutate sua Eminenza?
Il Primo Fotografo e l’Usciere si inchinano, intanto il secondo fotografo scatta con un lampo di magnesio.
Sipario